Artista: Andrea Morsolin
ODE ALLA MACCHIA
2016
Lavorando su due livelli concettuali, la macchia mediterranea viene interpretata differentemente, per sottolinearne alcuni aspetti strettamente legati all’uomo. La macchia viene vista come madre delle popolazioni mediterranee, gentile e generosa, pronta a sacrificarsi nei millenni per sostenere dei figli spesso degeneri, che la sfruttano e la depauperano, interessati solo alla loro crescita.
Nel periodo attuale, questa funzione di sostegno alla nostra società non ricopre più un ruolo cardinale, così, perdendo le tracce della nostra storia si perde anche il rispetto per colei che ci ha permesso di divenire quel che siamo.
Nel territorio molese, risulta molto raro potersi “dare alla macchia”, perché l’egoismo umano l’ha relegata solo in limitate zone non coltivabili, distruggendo il paesaggio ed aumentando esponenzialmente il valore ecosistemico di queste sparute boscaglie.
Urge una celebrazione della madre mediterranea, per riconoscerne le gesta e le sofferenze. Un altare alla macchia, su cui venerarne i frutti con botanico misticismo. Nell’intricato sottobosco della macchia si sviluppa una pianta lianosa (Smilax aspera), ricca di spine, che dal terreno si arrampica sulla volta delle chiome di lecci. La sua foglia cuoriforme illude l’osservatore, ispirando romantici sentimenti, ma ogni “cuore” presenta spine perimetrali per difendersi dagli approcci esterni.
Come la S. aspera, l’uomo si è aggrappato alla foresta, depauperandola per elevarsi, sfruttandone le ricchezze dandole per scontate. L’equilibrio naturale porta ad un autocontrollo della pianta, mentre l’uomo, irrispettoso cuore spinoso, si spinge oltre devastando ed estirpando la madre che lo ha allattato.
Senza la macchia mediterranea la Smilax aspera non può crescere, nessun appiglio, nessuna protezione.
E l’uomo?